https://youtu.be/N3LhfVROU64
(Detto anche per metafora "diavoletto di Cartesio")
A titolo personale, rielaboriamo alcune osservazioni di W. Benjamin che caratterizzano il demone interiore che agita l'animo e la mente del giornalista di grido quando scrive e pubblica i suoi testi, senza con questo voler significare che tutti i grandi giornalisti abbiano lo stesso demone interno che li scuote e tormenta allo stesso modo quando scrivono, ma volendo semplicemente caratterizzarne uno qualunque che potrebbe possedere in buona misura alcuni elementi di agitazione primaria interna, come esemplificati, provocati dal proprio personalissimo demone, che vanno a determinare il pensiero espresso e il linguaggio del testo giornalistico.
Il demone interiore non è mai uguale a sè stesso, nè uguale ad altri demoni ospiti in altri personaggi, ma è sempre cangiante e in agitazione, e in rapporto di moto e quiete continue con il giornalista quando costui. medita e scrive, e non è del tutto separato e diverso dal giornalista stesso per cui nella descrizione delle caratteristiche tipiche del demone si generano forme di sovrapposizione, identificazione e si può dire di confusione tra il giornalista stesso ed il suo demone, al punto che spesso, per taluni caratteri, non si possono distinguere le due nature e quando si parla di uno è proprio come se si parlasse anche dell'altro, e talora non è più possibile individuarli e separarli tanto sono strettamente intricati tra di loro.
Per cui si deve accettare il fatto che spesso raccontando ipotesi di caratteristiche dell'uno è come se si raccontassero ipotesi di caratteristiche dell'altro e viceversa, mescolando le due nature come se in effetti fossero una sola.
E analogamente non è possibile che alla fine delle ipotesi e tentativi di descrizioni e caratteristiche sia possibile individuare uno specifico e grande giornalista noto che operi nel mondo della carta stampata e dei video televisivi e di internet, anche se è possibile immaginare e fantasticare che uno specifico giornalista possa assomigliare in tutto, in parte o in niente a qualcuno intravisto in qualche occasione.
Spesso davanti ad un grande giornalista viene da pensare che si sia di fronte ad una "personalità etica", a prescindere da eventuali attitudini apologetiche di taluni important ammiratori che la attribuiscono senza giustificazione al grande giornalista.
Ma questa attribuzione etica non funziona, perchè spesso si scopre che la sua figura non nasce nella contemporaneità e nella realtà in cui viviamo, ma esce fuori da una cultura storica antica, si potrebbe dire da un fondo culturale oscuro quasi da preistoria, che nasce dal pensiero, leggendo i suoi scritti, e dalla presenza di un demone interiore che viene da un mondo antico, di antichi demoni e miti di una volta.
Spesso il giornalista, nel suo incoercibile bisogno di essere notato, viene reso dal demone sostanzialmente affetto da una enorme vanità, mentre nel contempo si ritrova solo con il suo demone che non si acquieta mai, gli danza intorno a circuirlo e gli alimenta una sorta di continuo tumulto interiore, e questo lo rende malato nelle sue capacità di scrittura che gli provocano dolori, e che lo rendono, a parte i dolori veri corporali,
spesso colpito da crisi di ipocondria.
Lui si specchia sempre nell'avversario, che cerca di demolire con una tecnica di smascheramento che utilizza strumenti informativi avanzati, ma che usa un'arte dell'espressione di sè che opera con mezzi arcaici.
Nessun prezzo è per lui troppo elevato pur di far parlare di sè e purchè l'esito di questa operazione speculativa gli dia sempre ragione.
La forza muscolare del suo stile di scrittura è l'immagine che egli stesso reca nell'intimo, per esporla nel modo spesso più indelicato ai suoi avversari e lettori.
Egli espone sè stesso tramite il suo demone, espone la sua vita, le sue sofferenze con tutte le piaghe relative, la sua nudità, e così viene alla luce il suo stile e con lui il tipico lettore di vicende sanguinolente, dove muti brandelli di carne e nervi scattano fuori nella sua prosa e per cui il fatto più distante e anonimo appare ancora pendente di un pezzo di carne scorticata.
L'idiosincrasia o l'allergia al fatto è l'esito nascosto del suo narcisismo e della situazione infernale in cui si dibatte lo scrittore di fatti grondanti sangue.
Lui è uno che scrive e vive anche come attore, indicando il ruolo più legittimo per lui quello del mimo che contraffà le vicende, polemizza, fa le boccacce e si scatena nella scrittura di drammi e tragedie del genere greco-antico o Shakespeariano, o di Offenbach come compositore e direttore di orchestra drammatica, movimentata e attraversata da lampi e fulmini dell'improvvisazione, criticando, canzonando, minacciando, importunando.
Facendo questo imita il suo interlocutore o avversario insinuando nelle crepe visibili la leva dell'odio, le tracce della venalità, della loquacità, della bassezza, dell'inezia, dell'avidità, dell'ingordigia e della perfidia.
La cortesia ha preso quì la via dell'odio ed il tormento che lo agita ha quì il suo sfogo.
La gestione dei suoi errori e debolezze personali è accurata e precisa, ma lui non può essere accreditato come il modello di un tipo umano armoniosamente educato, nè apparire come filantropo.
Quello che è più originario è una umanità che è solo il passaggio dalla sofistica alla malvagità, una natura che è una scuola dell'odio e una compassione intricata con la vendetta.
Il grande giornalista è un perturbatore del mondo fuori dal tempo giusto della distruzione, e non è mai l'eterno riformatore del mondo, non sta sulla soglia di una nuova epoca e di un nuovo mondo.
Egli sta più propriamente sulla soglia di una sorta di Giudizio Universale, apparentemente tra angeli, beati e dannati, ma in effetti schiacciando la storia universale del mondo tra i punti estremi di una singola e trascurabile notizia di interesse locale da enfatizzare, di un singolo modo di dire e di una singola frase fatta che caratterizza l'evento..
Al limite volge le spalle al mondo com'è, e interrompendo le sue lagnanze, è come se sporgesse una semplice querela al cospetto del Giudizio Universale.
Tutto il suo linguaggio e il fatto si svolgono sempre nella sfera del diritto costituito, e la sua parola è solo come quella che emette la sentenza definitiva.
In lui lingua e giustizia restano fondate l'una nell'altra.
Venerare l'immagine della giustizia divina è anche la sua lingua, quando arriva a mettere in stato di accusa lo stesso ordinamento giuridico vigente.
Ma mette in stato di accusa il diritto nella sua essenza, e non nella sua azione o nel fatto, considerando il tradimento del diritto verso la giustizia come concetto.
In sostanza il giornalista di grido si ritira in balia del suo demone, senza speranze, nel pandemonio dell'epoca in cui egli vive e in cui si è riservato il luogo più triste, rischiarato dal riflesso delle fiamme di un incendio e nel deserto di un ghiacciaio eterno.
Sta lì nell'ultimo giorno dell'umanità, dopo aver criticato invano e descritto tutti i giorni precedenti senza risultato utile finale.
Spesso si rifugia quasi per disperazione nell'espressionismo di cui è cosparsa la sua opera, influenzato da figurazioni fino alla miniatura medioevale, con scenografie, rappresentazioni, pitture ed anche frasi ed espressioni medioevali.
Qualcosa di enigmatico esce fuori da queste figurazioni espressioniste, piene di occhi umani sbarrati, con mantelli di colori e fogge strane gonfi e pieghettati, con abiti strani, e qualcosa che gli ispira una grande simpatia e un profondo affetto umano.
Oppure rappresentazioni di masse umane vaganti e in attesa di qualcosa di ignoto, spesso rappresentate di dorso, con una serie di nuche tutte uguali e in vista come fosse una turba a Gerusalemme o nel Getsemani.
Alla fine l'espressionismo che lo colpisce, oltre ai residui medioevali, è l'impressione di una massa di gente in pericolo colpevoli di qualcosa di grave per cui deve essere punita.
E di questa massa di presunti colpevoli rappresentati il giornalista si sente partecipe e solidale, anche se non è chiaro di che cosa, se non di sola compassione che lui denuncia e con cui partecipa nel sacrificio globale.
Anche del decadentismo recente e della sua umanità partecipa il grande giornalista, con il rimpianto delle piccole, semplici e buone cose e fatti della vita e della natura.
E anche per l'amore nutre grande simpatia.
Ma non è filantropia dell'amico dell'uomo e della natura, ma appare la scelta di un giornalista istruito e del letterato che esce da studi storici, intellettuale un pò dandy che dal decadentismo è finito nel giornalismo, tradendo la letteratura e lo spirito ribelle del demone, trasformando la propria opera in feulleiton di racconti tra stupidità e malvagità.
Ritirarsi dalla funzione genuina dello spirito del genere letterario puro e diventare uno scrittore molestatore e pugnalatore alle spalle è una ambiguità e doppia naturalità.
Non è un passaggio e compimento di una natura "liberata", in senso rivoluzionario, ma il ritorno ad una natura arcaica, confusa, distrutta, che riverbera riflessi incerti e inquietanti sull'idea di libertà e di umanità vere.
Di questa ambiguità demonica il grande giornalista soffre, perchè si manifesta la "chimera" alquanto spregevole del puro spirito confinato entro la gabbia ristretta del giornalismo.
Da ultimo si può dire che la sofferenza del grande giornalista è enorme spesso notturna, quando lui dice che lavora giorno e notte, così gli rimane molto tempo libero (per interrogarsi su tutto).
Ma la sua notte non è bella e romantica rischiarata dalla luna, mentre determinante è l'ora tra sonno e veglia, componente intermedia della sua solitudine, che è divisibile in tre stadi:
- quello del caffè dove lui è solo con il suo nemico,
- quello della stanza notturna dove è solo con il suo demone;
- quello della sala stampa dove è solo con la sua opera.
Nessun commento:
Posta un commento